
Con la sentenza n. 23543 del 27 luglio 2022, la Corte di Cassazione si pronuncia su un tema molto rilevante: la possibilità di applicare la presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci che, di fatto, ne gestiscono l’attività, anche quando la forma giuridica sia quella di una cooperativa.
La vicenda processuale
Il caso riguardava l’amministratore di una cooperativa sociale, destinatario di accertamenti fiscali per alcuni anni d’imposta.
L’Agenzia delle Entrate aveva contestato l’esistenza di utili non dichiarati, sostenendo che la cooperativa, pur formalmente composta da più soci, fosse in realtà gestita in modo esclusivo da due coniugi.
Le indagini bancarie avevano rivelato movimenti di denaro anomali e operazioni poco trasparenti, come la vendita di un’autovettura della cooperativa a un prezzo irrisorio rispetto al valore reale.
Dopo un primo accoglimento parziale dei ricorsi davanti alla Commissione tributaria provinciale di Ascoli Piceno, la vicenda era approdata alla CTR Marche, che aveva respinto gli appelli dell’Agenzia delle Entrate e accolto parzialmente quelli del contribuente. La CTR aveva escluso la presunzione di distribuzione di utili, ritenendo che la cooperativa non potesse essere assimilata a una società a ristretta base sociale.
Il ricorso in Cassazione
L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza davanti alla Cassazione, denunciando la violazione dell’art. 47 del TUIR. Secondo l’Amministrazione, la CTR aveva interpretato in modo errato la disciplina sulla presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, non considerando la gestione di fatto accentrata in capo ai coniugi.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, sottolineando che, nel caso di specie, la cooperativa era composta da soci meramente formali e che la gestione reale era interamente riconducibile ai coniugi. In tali circostanze, la presunzione di distribuzione degli utili occulti ai soci deve ritenersi operante, anche se si tratta di una società cooperativa.
La posizione della Corte sulla natura delle cooperative
La Cassazione ha ribadito che, pur essendo le cooperative caratterizzate da uno scopo mutualistico e da regole particolari in materia di utili – come i ristorni, gli accantonamenti a riserva legale e i limiti alla remunerazione dei soci – ciò non esclude la possibilità di una distribuzione occulta di utili, soprattutto quando la gestione sia di fatto familiare o concentrata in poche mani.
In altre parole, la veste cooperativa non può essere utilizzata come “scudo” per evitare l’applicazione delle presunzioni fiscali previste per le società a ristretta base. Se l’amministrazione finanziaria dimostra la sostanziale coincidenza tra gestione e soci dominanti, spetta a questi ultimi provare concretamente che gli utili extracontabili non siano stati distribuiti ma, ad esempio, reinvestiti o accantonati.
La decisione finale
La Suprema Corte ha dunque accolto il ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate, rigettato quello incidentale dell’amministratore e cassato la sentenza della CTR Marche.
Questa pronuncia assume particolare rilievo per le cooperative a composizione ristretta o familiare, perché riafferma un principio chiaro:
quando la gestione effettiva è accentrata in pochi soci e l’amministrazione prova l’esistenza di utili non dichiarati, opera la presunzione di distribuzione anche se la società è formalmente una cooperativa.
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